"Ma chi ha dato a Giorgia Meloni la demenziale idea di fare Matteo Salvini ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti?"
Di Massimo Fini
DAL PONTE QUANTI REGALI AI CLAN
Persino il Presidente della Repubblica si è reso conto, sia pur con un certo ritardo, dei gravi, e a volte drammatici, problemi che pongono il progetto e la realizzazione del Ponte di Messina. Matterella ha centrato le sue perplessità soprattutto sulla possibilità di infiltrazioni mafiose negli appalti. Possibilità? Certezza. La mafia oggi è meno controllabile di un tempo, quello dell’epopea dei Riina, dei Provenzano e, da ultima, dei Messina Denaro (nomen omen) perché non ha più una struttura gerarchica ma si suddivide in rivoli di cento, mille, piccole mafie. Queste si ammazzano, ma sarebbe meglio dire ammazzano, per l’appalto di progetti infinitamente meno costosi e quindi meno appetibili di quello colossale del Ponte di Messina e certamente non si faranno sfuggire una polpetta avvelenata, un polpettone, ghiotto come la costruzione del Ponte. Il solo parlarne è come mettere un vampiro davanti a un lago colmo di sangue.
Ma prima di parlare dei problemi economici, ambientali, in terra e in mare, che pone la costruzione del Ponte sullo Stretto, sarà bene ricordare che siamo in un territorio sismico (L’Aquila, l’Irpinia, la Sicilia). Il Terremoto di Messina del 1908 uccise la metà della popolazione della città siciliana e un terzo di quella calabrese. Chi è favorevole al Ponte, in pratica solo Matteo Salvini e la sua cricca, sostiene che oggi ci sono i mezzi tecnici per fare una costruzione sicura. Ma la Natura ha soprassalti incontrollabili come dimostrano i tanti “eventi eccezionali” che avvengono in ogni parte del mondo. Si dice, prendendo dal latino, “natura non facit saltus”. Invece i salti li fa eccome, con buona pace di Leibniz.
Inoltre contro la costruzione del Ponte c’è il suo stesso peso, 887 mila tonnellate. Nei terremoti a essere pregiudicate sono innanzitutto le grandi costruzioni, non le piccole case, così come durante la tempesta sono le querce le prime ad essere abbattute perché oppongono più resistenza. Di più: se sei in un territorio sismico come è tutta l’Italia dovresti pensarci mille volte prima di azzardare un’opera come il Ponte. Gli indigeni delle Isole Andamàne, che sono soggette a devastanti maremoti, non costruiscono sulle coste perché, come tutti i “popoli primitivi”, così noi con disprezzo li chiamiamo, fanno esperienza della loro esperienza e non su ipotetici teoremi matematici.
Come se non bastasse il Ponte pone gravi problemi ambientali, in cielo e in terra. In cielo perché lo Stretto di Messina è un collo di bottiglia dove devono necessariamente passare nelle loro migrazioni i più importanti volatili europei che sarebbero quindi costretti a cambiare le loro rotte sempre che riuscissero a sopravvivere.
In terra perché il Ponte eroderebbe le coste soprattutto ad est di Reggio. Una ventina di anni fa quando ero leader di Movimento Zero, ora in sonno (ma chissà che non lo risvegli con una sacrosanta violenza) mi trovavo spesso a Reggio perché attraverso il Movimento eravamo legati agli indipendentisti sardi e a quelli corsi. Era mia abitudine farmi portare dagli amici calabresi, anche d’inverno, a novembre, a dicembre, quando in realtà l’acqua è più calda perché risente ancora del calore dell’estate, il momento peggiore per chi ama nuotare in mare è aprile perché, al contrario, risente ancora del freddo dell’inverno, sulle coste ad est di Reggio Calabria. Facevamo pochissimi chilometri per arrivare a rive dove si poteva fare il bagno. Una volta però mi accorsi che per una trentina di chilometri c’erano rive sassose e inabbordabili. Ne chiesi ragione ai miei amici calabresi. Risposero: “Sai, hanno costruito un porticciolo a est di Reggio”. Chiesi dunque di andare a vedere questo porticciolo. Era un porticciolo modestissimo, ma era bastato per rovinare trenta chilometri di costa. Si può facilmente immaginare cosa può fare un’opera come il Ponte.
Il Ponte non lo vogliono né i calabresi né i messinesi, anche perché per salire all’altezza del Ponte ci metterebbero più tempo che a prendere il traghetto.
C’è poi la questione dei necessari espropri. Dove andrebbero a vivere, in che contesto, e con che stress, persone che già in partenza sono contrarie al Ponte per ragioni anche psicologiche che non vanno sottovalutate (i calabresi dicono “noi siamo abituati da secoli e millenni ad avere difronte un’isola”, i siciliani “noi siamo abituati da secoli e millenni ad avere difronte un continente”)?
Infine noi italici siamo abituati a ragionare con i piedi ma a partire dalla testa, cioè dall’opera, senza aver creato prima le necessarie infrastrutture, nel caso aver messo a punto la disastrosa viabilità, ferroviaria e stradale, siciliana.
Quasi inutile dire che i costi del Ponte sono nel frattempo lievitati a dismisura, per la gioia delle mafie: da 5 miliardi del 2001 ai 14,5 di oggi.
Ma chi ha dato a Giorgia Meloni la demenziale idea di fare Matteo Salvini ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti? Qualcosa non quadra. C’è puzza di zolfo.
28 maggio 2025, il Fatto Quotidiano
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